Diamo spazi ai creativi
lavoro di Carlo Mantovani Proposte semplici e concrete Diamo spazi ai creativi Ne parliamo con Giovanni Campa...
https://www.dimensioni.org/2016/02/diamo-spazi-ai-creativi.html
lavoro
di Carlo Mantovani
Proposte semplici e concrete
Diamo spazi ai creativi
Ne parliamo con Giovanni Campagnoli, laureato alla
Bocconi, docente di economia in un una scuola salesiana,
direttore e blogger della rete informativa
Politichegiovanili.it.
Disoccupazione giovanile al
record storico (44%!) e invio del curriculum diventato ormai una slot machine
mangiatempo (il massimo che si può sperare, è che finisca nel cestino giusto)
sembrano dati inequivocabili che colorano ogni tentativo di amaro pessimismo.
Ma sentire qualcuno che propone di recuperare gli
spazi vuoti per trasformali in occasioni di lavoro per chi ha finito la
scuola e cerca un lavoro, è come trovare l’acqua nel deserto, o sentire un
congiuntivo in televisione. Contattare Giovanni Campagnoli, insegnante
di economia nel Liceo Salesiano di Borgomanero (NO), esperto di politiche
giovanili ed autore di Riusiamo l’Italia: da spazi vuoti a start-up
culturali e sociali, e fargli alcune domande, è stato quindi un “no
brainer”, come dicono negli USA: una mossa scontata, dettata da una sorta
di obbligo morale verso il futuro.

Io vengo dal mondo delle politiche giovanili e a
segnalarmi che il riuso degli spazi vuoti poteva essere una grande opportunità,
in un momento in cui il dialogo con le istituzioni era bloccato, sono stati
proprio i ragazzi e le ragazze che incontravo in giro per l’Italia. Dimostrando
che ad una nuova idea di lavoro si poteva arrivare anche senza scendere in
piazza, al di fuori della solita logica rivendicativa: sostenuti soltanto da
talento creativo e dalla volontà di realizzare un progetto. Da questo prezioso
input è nata l’idea del libro Riusiamo l’Italia. Il modello gestionale
mi era chiaro, l’ipotesi economica era molto
semplice: favorire un incontro tra spazi abbandonati e giovani creativi
disoccupati. Un’idea che è piaciuta subito a quelli de Il Sole 24 ORE,
convinti che meritasse la pubblicazione. L’interesse intorno a questi argomenti
si è dimostrato piuttosto alto in tutto il Paese: il libro è stato presentato
già in più di trenta città, da Corleone a Trieste, da Torino a Taranto. Oltre
agli inviti di tante università e, ovviamente, delle prestigiose presentazioni
al Festival dell’Economia di Trento e
della Letteratura di Mantova. E non c’è
solo teoria.
Sul tema degli spazi sono stati attivati anche numerosi
percorsi formativi: sperando che siano il primo decisivo passo verso una
piattaforma capace di favorire l’incontro tra spazi vuoti riusabili e giovani
riutilizzatori.
Riusiamo
for dummies: che
cosa deve fare, in pratica, un giovanotto che volesse dar vita ad una di queste
virtuose start-up?
Sembra banale, ma parte tutto dal desiderio di
realizzare un progetto. Una volta individuato uno spazio, individuate le nuove
funzioni d’uso che lì si possono sviluppare, si calcola un budget minimo e si
parte. Qui cominciano le difficoltà, rappresentate dagli ostacoli della realtà:
dall’accesso al credito al rapporto con le istituzioni e la burocrazia, al
consenso sociale al riuso. Insomma: il cammino è tutto in salita ed è probabile
che, inizialmente, ci si debba scordare lo stipendio. Oltre all’idea creativa,
servono quindi anticorpi molto efficaci, per potercela fare. Esperienze
concrete ce ne sono già tante e le più significative sono raccolte sul nostro
sito, www.riusiamolitalia.it.
Cosa si può trovare?
C’è davvero di tutto: spazi culturali di aggregazione
giovanile e di formazione, sale prova, music club, sale cinematografiche,
gallerie per esposizioni, street market, orti e serre sociali, sport indoor e
così via. L’azione del riuso dipende sia dalle caratteristiche degli spazi a
disposizione, sia dalle passioni che animano il team di utilizzatori. La prima
mossa da fare, per chi volesse intraprendere l’avventura del riuso, è andare a
parlare con chi lo ha già fatto: l’esperienza degli altri è il modo migliore di
imparare.
Uno dei vostri slogan è «Più
usi, meno paghi»: che cosa significa?
Significa basare le imposte sull’uso dei beni e non
sulla semplice proprietà. Abbassando le tasse per i proprietari di beni che
vengono usati, e alzandole per chi invece ne blocca la circolazione, lo Stato
potrebbe favorire il riuso di beni e spazi vuoti. Una manovra che, a ben
pensarci, conviene a tutti: se la proprietà perde la sua “funzione sociale” e
viene immobilizzata, è l’intero Paese a perderci. Una strategia molto semplice
ed efficace, purtroppo non abbastanza diffusa.
Nel nostro Paese si parla
sempre dell’importanza della creatività, ma poi, quando qualcuno tenta di fare
qualcosa di creativo, gli chiudono la porta in faccia. I vostri progetti, in
media, che accoglienza hanno avuto?

Un giorno, anche grazie a
queste buone pratiche di riuso, il nostro Paese riuscirà a dare una risposta
alla piaga della disoccupazione giovanile?
I dati che emergono dalla mia ricerca dicono che in
Italia gli spazi vuoti superano il milione e mezzo. E che sarebbe sufficiente
riusarne anche solo una minima percentuale (dall’1,5 al 3 %), affidandola a
gruppi di ragazzi che hanno presentato progetti creativi, per ridurre la
disoccupazione giovanile dal 5 al 10%. Una rivoluzione dal basso, insomma, che
produrrebbe soltanto effetti positivi (lavoro, spirito civile, inclusione). Non
estirperebbe la piaga della disoccupazione, è chiaro, ma non sarebbe il caso di
spezzare l’immobilismo e provarci?
Lei è un insegnante: nelle
scuole si fa abbastanza per diffondere la mentalità del riuso e garantire un
futuro al Paese?
Da anni si dice che la scuola, oltre alle conoscenze,
deve insegnare anche le competenze
fondamentali: che secondo l’UE sono otto e comprendono anche quelle creative e
imprenditoriali valorizzate dal nostro Progetto, Riusiamo l’Italia. La
scuola pubblica italiana, purtroppo, è impostata per creare dipendenti, non
manager. Lo dimostra la pedagogia nazionale, basata più sulla prudenza che non
sul coraggio: e così, nelle letture scolastiche, si sceglie Cappuccetto Rosso,
che educa all’obbedienza, invece di Tom Sawyer, o Pippi Calze Lunghe, che
invece sottolineano l’importanza di accettare le sfide e di coltivare la
creatività. Solo insegnando i valori del rischio e dell’innovazione – e alcune
scuole, fortunatamente, iniziano a farlo – potremo avere generazioni di nuovi
imprenditori, come quelli delle start-up che danno nuova vita agli spazi vuoti
del tessuto urbano. <