Viaggio tra il cibo degli dei
curiosità di Mariagrazia Tomasin Per addolcirci il palato Viaggio tra il cibo degli dei Scopriamo come sono nati al...
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di Mariagrazia Tomasin
Per addolcirci il palato
Viaggio
tra
il cibo degli dei
Scopriamo come sono nati alcuni
dei cioccolatini più famosi
d’Italia.
Si avvicinano le feste del papà e della mamma e se siete a corto di idee
nel fare i regali, ecco un suggerimento classico che non tramonta mai: il
cioccolato, anticamente chiamato “cibo degli dei” per le sue proprietà. Un
“cibo” che ha tante curiose storie e leggende alle sue spalle, a cominciare da
quella della principessa Xoco.
La principessa viveva in un Paese che oggi si chiama Messico, era sposata
con un valoroso guerriero e come in tutte le fiabe, vivevano felici e contenti.
Un giorno, scoppiò la guerra e il principe dovette partire. Xoco rimase
nel castello per custodire il tesoro del suo popolo.
Una notte un soldato nemico entrò nella sua stanza, voleva sapere dove
fosse nascosto il tesoro. Xoco non parlò e fu uccisa. Quando il principe
ritornò, nel punto dove era morta la sua amata sposa, era germogliato un
albero. Spuntarono dei bellissimi fiori bianchi e poi crebbero dei grandi
frutti rossi: era nata la pianta del cacao. Il tesoro rimase per sempre
nascosto nei suoi frutti.
In Europa, quando arrivò il cacao, veniva consumato prevalentemente come
bevanda calda. Poiché il gusto era amaro, veniva aggiunto dello zucchero. Era
di moda nel 1700 la “bavareisa”, a base di caffè, latte e cioccolata,
servita in grandi bicchieri. A Torino, tra le mura di un piccolo Caffè, più o
meno in quegli anni nasceva il “Bicerin”, in cui venivano usati gli
stessi ingredienti ma serviti in bicchieri più piccoli e senza manico. Questa
bevanda ebbe un grande successo, tanto che il locale prese lo stesso nome: “bicerin”
(da non confondere con l’omonimo liquore).
Fu nel 1806, in seguito al blocco napoleonico che i cioccolatieri
piemontesi, non riuscendo a rifornirsi del cacao necessario, ebbero un’idea
geniale. Mescolarono il cacao con le nocciole finemente polverizzate,
che in Piemonte avevano il vantaggio di essere a chilometro zero (come si usa
dire oggi), di ottima qualità, abbondanti ed economiche. La miscela risultò
molto buona tanto che, nel 1865, iniziò la produzione di un cioccolatino
speciale.
il gianduiotto |
A quei tempi, durante il Carnevale, la maschera piemontese Gianduja
(ovvero Giovanni della Duja, la “duja” è un fiasco di vino) diventava re per un
giorno. Fu durante la parata che Gianduja regalò alla folla questo
cioccolatino, per la prima volta nella
storia incartato. In quell’occasione venne battezzato con il nome di Giandujotto,
diventando da quel momento il cioccolatino simbolo di Torino.
Dal
Cri-Cri al Boero
Verso la fine dell’ottocento, sotto la Mole
Antonelliana, nasce un altro cioccolatino torinese. Il suo nome questa volta è
legato ad una romantica storia d’amore. Cristina viveva a Torino, era
una bella ragazza e faceva la sarta. Il suo fidanzatino, uno studente, prima di
ogni appuntamento, passava in pasticceria e le comperava delle praline
ricoperte di granelli di zucchero.
La commessa del negozio si era
accorta della simpatia tra i due giovani e un giorno sentì il vezzeggiativo con
cui il ragazzo chiamava la sua bella Cristina: “Cri”. Quella parola le diede
l’ispirazione per creare i cioccolatini “Cri-Cri”. Li troviamo, come
allora, avvolti nella caratteristica carta stropicciata di vari colori
brillanti con le frangette bianche.
Un’altra specialità è opera del pasticcere svizzero Emil
Gerbeaud. Da Ginevra si trasferì a Budapest, in Ungheria, dove inventò
un cioccolatino che è conosciuto in tutto il mondo con il nome di “Gerbeaud
Bonbon”. In Italia è diventato una specialità della zona di Cuneo con il
nome di Boero. Come mai abbia preso questo nome non è chiaro.
Probabilmente per via dell’incarto color rosso fuoco, che ricordava il colore
delle giubbe dei soldati boeri sudafricani.
Sono cioccolatini sferici, ripieni
di liquore e di una ciliegia intera con tanto di nocciolo. Non sono da
confondere con i Mon Chéri della Ferrero, che si differenziano
dall’originale per la forma rettangolare e per il ripieno, che prevede una
ciliegia priva del nocciolo.
Dal Piemonte, spostandoci verso Sud, incontriamo il Cremino. A
forma di cubo, è composto da tre strati: quelli esterni sono di cioccolato
gianduja, quello centrale cambia in base alla fantasia del cioccolatiere.
Al cremino è curiosamente legata la casa automobilistica FIAT, oggi FCA.
Nel 1911 fu indetto un concorso fra i cioccolatieri d’Italia per creare un
cioccolatino in occasione della campagna pubblicitaria del modello di
automobile “Fiat Tipo 4”. Il concorso fu vinto da una ditta di Bologna
che realizzò un cremino con quattro strati invece di tre.
Il cioccolatino inizialmente venne distribuito solo dalla casa
automobilistica durante le presentazioni. Dopo qualche anno l’esclusiva cessò,
a condizione però che mantenesse il nome FIAT. Per questo, se chiedete
un “FIAT”, vi verrà dato un cremino al cioccolato.
Infine, arriviamo a Perugia, città
di Luisa Spagnoli, nota per l’omonimo marchio di abbigliamento ma anche
per aver ispirato un famoso cioccolatino. Lo scorso mese è andata in onda una
fiction sulla RAI che raccontava la sua storia. Aiutando il marito nella
fabbrica dove produceva cioccolatini, notò che durante la lavorazione venivano
buttati chili di briciole di nocciole.
Con spirito pratico e un tocco di fantasia, per evitare
quegli sprechi, suggerì di recuperare i frammenti di nocciola impastandoli con
il cioccolato. Il risultato fu un cioccolatino che nella forma ricordava un
pugno chiuso, dove la nocca più sporgente era costituita da una nocciola
intera. Fu questa forma ad ispirare il suo nome: Cazzotto.
Il cioccolatino era buono.Tuttavia per il pasticcere non
era una buona idea proporre dei cioccolatini da regalare con il nome di
“cazzotti”. Decise perciò di ribattezzare la nuova creazione “Bacio” e
di inserire dei cartigli contenenti frasi d’amore. Diventando in questo modo i
messaggeri del pensiero affettuoso. <