In prima linea
persone di Giovanni Godio Incontro con Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi In prima linea Essere cristiani in Pakistan a ci...
https://www.dimensioni.org/2016/06/in-prima-linea.html
persone
di
Giovanni Godio
Incontro con Joseph Coutts,
arcivescovo di Karachi
In prima
linea
Essere cristiani in
Pakistan a cinque anni dall’assassinio del ministro cattolico
per le minoranze Shahbaz Bhatti.
La discriminazione, le
violenze, gli attentati. Ma, nonostante tutto,
anche qualche segno di speranza.
È
misurato nelle parole, prudente. Ha il tratto semplice e sobrio degli uomini
delle Chiese di frontiera. Ma lo si vede, gli piace dialogare. Si mette
alla prova con l’italiano alternandolo, con nonchalance, all’inglese. E
rivela nello sguardo, nei gesti, nel sorriso, un’energia che non daresti ai
suoi 70 anni.
DN ha
intervistato a Torino mons. Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi, una
delle metropoli più popolose del mondo (20 milioni di abitanti ma solo 200 mila
cattolici in tutta la diocesi) e presidente della Conferenza episcopale
pakistana. Sotto la Mole ,
Coutts ha incontrato il Comitato regionale per i diritti umani del Piemonte nel
corso di un viaggio in Italia organizzato dalla fondazione Aiuto alla Chiesa
che Soffre (ACS) a cinque anni dalla morte di Shahbaz Bhatti,
l’indimenticato ministro del Pakistan per le Minoranze assassinato dai
fondamentalisti nel 2011.
Mons.
Coutts, lei in Italia ha portato la dignità della sua gente: «Siamo una piccola
minoranza, ma non siamo una Chiesa nascosta o silenziosa. I musulmani di buona
volontà ci sostengono, possiamo tuttora uscire nelle strade per protestare
contro le ingiustizie e la violenza...». Ma come lei stesso denuncia, non sono
tempi facili per i cristiani pakistani. In particolare quali sono i problemi
che incontrano i vostri giovani?
Per loro il problema è l’istruzione, in un Paese dove
l’analfabetismo riguarda ancora il 50% circa della popolazione. Ma
specialmente, oggi, l’istruzione a livello superiore, nella quale come Chiesa
cattolica abbiamo pochi istituti.
È a
questo livello che in Pakistan ci si imbatte nella discriminazione: il percorso
formativo si fa più stretto, perché la selezione rende difficile entrare
all’università. È di alcuni anni fa, tra l’altro, la norma che se un musulmano
impara tutto il Corano ha 20 punti in più, cosa che chiaramente lo avvantaggia
rispetto a un cristiano preparato come lui.
Shahbaz
Bhatti, cattolico, l’unico ministro per le Minoranze della storia pakistana,
moriva assassinato nel 2011. Come lo ricorda?
Il suo è
stato l’esempio di un buon leader cristiano. Era onesto, a differenza di
numerosi politici. Era sincero, autentico. Si sentiva al servizio del suo
popolo, la sua simpatia andava in particolare verso i più poveri. Lo
rispettavano anche i non cristiani, perché era lui il primo ad avere un gran
rispetto verso di loro. È così che lo ricordiamo, e cerchiamo di proseguire il
buon lavoro che ha iniziato.
Per noi
Shahbaz Bhatti è il segno di quello che affermava uno dei padri della Chiesa,
Tertulliano: «Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani». Avere un
martire nella nostra Chiesa renderà più forte la nostra fede.
Lei
oggi è presidente di Caritas Pakistan, che dopo terremoti e alluvioni aiuta
tutti, cristiani e musulmani. Ma già quando era vescovo di Hyderabad lei ha
appoggiato la lotta dei “senzaterra”.
Sì, è passato
molto tempo (sorride): sono diventato vescovo nel secolo scorso, qui
parliamo di 20-25 anni fa: ero più giovane e riuscivo a fare di più!
A fare
che cosa?
Specialmente
in questa provincia del Sindh, nel Sud, ci sono grandi proprietari terrieri che
possiedono migliaia e migliaia di ettari. I poveri che lavorano queste terre ne
diventano quasi schiavi, per via di prestiti che non riescono a restituire al
“padrone”. In inglese lo chiamiamo bonded labour, lavoratori che
rimangono “legati”, vincolati al loro padrone.
Anche la Human Rights
Commission of Pakistan (HRCP) si era impegnata per liberare queste persone,
e io collaborai con lei.
Come andò a finire?
Riuscimmo
a liberarne molte. I cristiani erano pochi, molti erano indù, ma non guardavamo
alla religione. Fu così che i proprietari terrieri mi attaccarono. Convocarono
una conferenza stampa per dire che «questo vescovo riceve un mucchio di denaro
dall’America per convertire i poveri indù al cristianesimo».
Dovetti
difendermi presso l’ombudsman del Governo. E toccò anche a me
partecipare a una conferenza stampa con l’appoggio della HRCP, per ribadire che
erano tutte calunnie, che non convertivamo persone: quelle persone erano degli
schiavi.
La situazione oggi è migliore?
No, la questione non è semplice. Le leggi le abbiamo, ma questo non
significa che tutto funziona secondo le leggi. È una lotta continua.
Che
cosa possiamo fare in Italia per i cristiani pakistani?
Non
abbiamo solo bisogno di aiuti in denaro, ma anche che la Chiesa che è in Europa
comprenda la situazione, aiutandoci con la sua preghiera. Questo è un grande
incoraggiamento per noi: tornato a casa, dirò ai nostri cristiani come ci sono
vicini i fratelli italiani. Perché anche laggiù si sappia che non siamo soli,
che ci sono altri che pregano per noi e sono pronti a dare una mano. È
importante, ci aiuta a conservare la speranza. <