La fatica della coerenza
HASHTAG di Elena Giordano #Nessuno escluso - 8 La fatica della coerenza Il confronto con chi abitualmente fa gli sgambetti p...
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HASHTAG
di Elena Giordano
#Nessuno escluso - 8
La fatica della coerenza
Il confronto con chi abitualmente fa gli sgambetti per migliorare
la propria posizione lavorativa è fastidioso. Si può rimanere se stessi e allo
stesso tempo essere professionisti apprezzati?
Scrive Davide: «Ho 25 anni, sono un lettore “anziano” di DN, ma vi voglio ugualmente
lasciare la mia esperienza. Sono sempre stato molto attivo in parrocchia, così
come tutta la mia famiglia. Mi sono laureato a pieni voti e per fortuna, senza
fuggire all’estero, grazie a una specializzazione un po’ particolare – analista
di Big Data – ho subito trovato lavoro in una giovane azienda molto agguerrita,
con prospettive di crescita importanti, sia per il business che per il
sottoscritto.
Dopo pochi mesi dal mio arrivo, ho notato che, in modo
involontario, mi stavo facendo terra bruciata attorno. Il motivo? Seguendo
semplicemente le regole di comportamento insegnatemi dalla mia famiglia, mi
impegnavo a fare bene. Questo voleva dire: non caricare i colleghi di lavori
miei; non parlare male degli altri per salire di grado; non “lecchinare” il
capo per avere favori; non passare agli altri i compiti più onerosi che
spettavano comunque a me.
E mentre io cercavo di mantenermi “normale” e coerente con me
stesso, altri colleghi – certamente meno attenti a queste forme di rispetto –
progredivano di ruolo e di stipendio a fine mese. Ne ho discusso con mio padre,
che per 30 anni ha lavorato in un’azienda analoga. La sua risposta è stata:
funziona così. Allora io mi chiedo: per fare carriera devo dimenticarmi di
essere una persona seria? E il rispetto del Vangelo dove va a finire?».
Il cristiano non va in giro con una
medaglia appuntata sul petto. È una persona come tutte le altre, che cerca però
di rispettare le regole del vivere
civile, che è più attento a chi ha bisogno. Non si gira dall’altra parte, non
si lascia invadere il cuore da odio o intolleranza.
Se questi principi sono abbastanza
semplici da seguire, specie quando ci si ritrova nella comunità parrocchiale,
in cui tutti possiedono lo stesso idem
sentire, la questione si fa complessa quando si “esce” fisicamente dalla
calda e protettiva chiesa del quartiere. Là, fuori, il gioco si fa duro.
In linea teorica tutti gli
interlocutori – capi, mega manager, colleghi, sottoposti – dovrebbero essere
sempre brave persone. Il fatto è che, per alcuni, essere “brave persone”
significa lavorare con impegno, motivazione, sorriso. Per altri, faticare il meno possibile, per altri
lamentarsi continuamente e incolpare gli altri delle proprie insoddisfazioni.
Lo smarrimento di Davide è legittimo e
provato da tantissime altre “brave persone vere”, ma bisogna rapidamente andare oltre questo andazzo.
Come affrontare il lavoro
Che si tratti di piccola azienda,
multinazionale, ente pubblico, realtà che ha a che fare con gli altri (banca,
ospedale, esercizio commerciale); che la persona sia cristiana, musulmana,
buddista o atea sino al midollo, vi è un solo modo corretto che sovrasta ogni
particolarismo, personalizzazione, allergia, fastidio o abitudine: la responsabilità. Per ciò che si è,
per il ruolo che si ricopre, per l’importanza che il lavoro riveste nella
propria vita. E la serietà, che
induce a portare a termine il lavoro, ad arrivare puntuali, a comportarsi
correttamente nei confronti di capo, colleghi, clienti.
E la carriera? Se il capo è intelligente, se la struttura manageriale è realmente
competente, le persone che agiscono in maniera professionale emergeranno come
in un prato emergono i fiori dallo stelo più alto. Il processo è naturale. Ed è
sempre identico.
Quindi, in poche parole, i sogni e la carriera non si smorzano
perché si è brave persone. Anzi, si realizzano proprio perché si è brave
persone.
E i furbetti dove li mettiamo?
Volete fare un favore a voi stessi e a
loro? Ignorateli. Questa è l’esperienza diretta ventennale di chi vi scrive: a
fare carriera, quella vera, quella che porta anche fama – e correlate immense
responsabilità da mal di pancia – sono le
persone meritevoli. Competenti. Quelle che hanno sacrificato tempo ed
energie per il lavoro, si sono formate, non hanno smesso di essere curiose. Le
altre? Hanno salito i primi gradini del famoso “successo”, poi si sono arenate
per manifesta incompetenza.
Cosa vogliamo dire? Nella vita non si
bara, mai. E le scorciatoie non
funzionano. Al liceo può andarvi bene un’interrogazione, anche se siete
impreparati: un’unica volta, però. Ugualmente, sul lavoro, inizialmente i
“fuffoni” possono essere presi per “intelligentoni”, poi, alla prima magagna,
la vera dimensione professionale degli individui emerge in modo imbarazzante.
La carriera è un bene o un male?
Posto in questo modo, il quesito non è
corretto. Se una persona lavora, si impegna, ottiene risultati, è giusto che
benefici dell’aumento di stipendio, delle gratificazioni e di tutti i benefit.
Allo stesso modo, realizzare i propri sogni è giusto e gratificante. Passiamo al lavoro metà della nostra vita,
dobbiamo in tutti i modi renderlo “a nostra misura”, sia che siamo panettieri,
scrittori, operai o biker.
Certo il patto deve essere molto
chiaro: le gratificazioni non arrivano dopo tre mesi di lavoro. Specie in
questo periodo, i ragazzi sono chiamati a impegnarsi tre volte tanto rispetto
ai loro “pari età” di un tempo. Non è sufficiente essere mediocri, occorre essere
super-bravi, dimostrarlo; essere motivati
e attenti. Il lavoro non bussa più alla porta di nessuno? Pazienza, busserete
voi alla sua. La carica e l’energia che possiede un giovane sono in grado di
abbattere qualunque difficoltà, a patto che si sia disposti a darsi da fare.
Abbasso gli sfruttatori
Il discorso fatto finora regge a una
condizione: che il datore di lavoro sia in grado di consegnare al giovane
lavoratore diritti, un equo stipendio, una possibilità di crescita. Non sempre
e solo contratti da 800 euro che
ogni tre mesi vanno ridiscussi.
La flessibilità che 25 anni fa i
giuslavoristi iniziavano a teorizzare era ben altro: riuscire a creare un mondo
del lavoro nel quale i giovani potessero passare da un incarico a un altro senza un solo giorno di disoccupazione,
aumentando di volta in volta il proprio reddito.
Noi ci crediamo ancora, ci dobbiamo
credere, non possiamo immaginare che il modello “meno diritti per tutti” sia quello vincente. Per cui vi esortiamo
a cercare e trovare, per quanto possibile, condizioni dignitose e un posto di
lavoro in cui possiate sorridere entrando la mattina.
Siete carrieristi? Con pazienza e
immenso impegno riuscirete ad arrivare dove vi siete prefissati. Non vi
interessa fare carriera perché altro vi interessa, fuori dall’ambito
professionale? Siate ottimi
professionisti e stimati colleghi comunque.
In tutti i casi, portate sempre
appresso voi stessi. Non abbandonate i
valori in cui credete, dato che sono assolutamente attuali, pertinenti e
giusti.
E se lo sconforto vi prende, nel
vedere che un certo collega si è preso i complimenti al posto vostro per un lavoro completato da voi, non vi
preoccupate: sarà la prima e ultima volta.
Che si fa
Lavorate sulle soft skill
Il mondo del lavoro in Italia è in
rapido cambiamento. Non sono solo le professioni nuove a fare capolino e a
soppiantare quelle vecchie. Sono anche le competenze, quelle che si chiamano soft skill. In pratica, anche
all’interno dell’azienda cambiano i modi di arrivare al risultato.
Volete essere pronti, non appena
laureati, per affrontare le nuove
opportunità?
Allora iniziate da ora a imparare a:
- lavorare in team;
- avere una visione multilaterale del problema;
- usare la creatività;
- utilizzare la capacità di problem solving;
- saper prendere decisioni importanti, ora subito;
- gestire lo stress;
- essere proattivi;
- utilizzare il pensiero critico, ossia gestire il presente sfruttando le capacità acquisite in passato.