Un lavoro tutto social

di Patrizia Spagnolo Nuove opportunità ancora da sfruttare Un lavoro tutto social La rete e i social network offrono nuovi sviluppi...

di Patrizia Spagnolo

Nuove opportunità ancora da sfruttare
Un lavoro tutto social
La rete e i social network offrono nuovi sviluppi lavorativi,
ma non basta passare del tempo in rete, occorrono competenze specifiche e molto impegno. E in Italia i giovani non ne sanno ancora approfittare.

 Ormai siamo tutti in “rete”. Beh, non proprio tutti. Diciamo meno della metà. Insomma, come al solito l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) è stata impietosa con l’Italia: non abbiamo i saperi essenziali per orientarci nel terzo millennio. Oltre a piazzarci in fondo alla classifica (su 24 Paesi) per competenze in lettura e al penultimo per quelle in matematica, non sappiamo nemmeno usare le tecnologie digitali e quelle offerte dalle reti internet “per acquisire informazioni, comunicare e svolgere compiti pratici”.
Una domanda sorge spontanea: se il collegamento alla rete offre maggiori opportunità di trovare lavoro, perché nel nostro Paese ad essere esclusi dal mercato oggi sono soprattutto i giovani, esattamente quel 40% della popolazione che invece la rete la usa eccome? Forse la usano male? Non la usano abbastanza? Come la usano?

Cercare e trovare sui social


I risultati della recente ricerca Dalla scuola al lavoro, attraverso i social condotta da Fondazione Sodalitas e Randstad Italia ci dicono che nel nostro Paese chi ha meno di 30 anni e vuole lavorare si rivolge al web, consultando i siti dedicati alla domanda e all’offerta, i siti aziendali e i social network, Linkedin in testa seguito da Facebook. L’esplorazione di pagine e profili aziendali, in particolare, si rivela proficua: una volta su quattro le candidature ottengono risposta.
C’è da dire che il campione raggiunto dalla ricerca è costituito da 700 giovani dai 22 ai 30 anni (il 10% tra i 18 e i 21), soprattutto donne, con un livello formativo medio alto, dalla laurea di primo livello in su. Considerando che in Italia i laureati costituiscono appena un quarto degli under 34 (e l’8% dei più “vecchi”), è evidente che si sta parlando di una “elite” della popolazione italiana. Ciò significa che il web 2.0 rappresenta una grande opportunità, sì, ma solo per chi ha un bel bagaglio sulle spalle: non bastano un computer e il collegamento a Internet, serve prima di tutto la materia prima, cioè formazione e competenze professionali.
Oltre ai canali web tradizionali dedicati al lavoro, quasi la metà dei 700 giovani intervistati utilizza i social network e li considera efficaci, a patto che si sia in grado di individuare gli ambienti giusti (pagine e profili aziendali più che gruppi o spazi di discussione, ad esempio). Linkedin è più utilizzato dai laureati (soprattutto donne), Facebook più dai diplomati e Twitter (risultato il meno efficace per trovare lavoro) soprattutto da uomini in possesso di una laurea di primo livello. Ancora, su Linkedin sono più numerose le offerte di lavoro per professionisti con molta esperienza, mentre su Twitter si cercano soprattutto profili junior.
A livello mondiale, sono oltre 2,6 milioni le aziende presenti su Linkedin. Secondo l’indagine Social Recruiting Survey 2013 condotta da Jobvite (piattaforma che offre tecnologia e servizi per il reclutamento online) su 1600 professionisti di 50 diversi settori, il 94% delle aziende utilizza o intende utilizzare i social media per cercare nuovi collaboratori, mentre il 78% di cacciatori di teste ha già assunto dipendenti tramite questi canali.

Un'identità digitale positiva
E se pensate che le vostre attività di svago sul web non siano importanti ai fini della ricerca di un’occupazione, vi sbagliate di grosso. Il 42% degli intervistati ha ammesso di aver riconsiderato – positivamente e negativamente - la posizione di un candidato in base a qualche ricerca sui social media. Oscenità, riferimenti a consumo di droghe o uso di armi, contenuti sessuali ed errori grammaticali non depongono a favore, mentre volontariato e donazioni ad associazioni benefiche (oltre ovviamente a esperienze professionali, preparazione culturale e competenza) incidono positivamente. È bene, inoltre, stare attenti alle foto potenzialmente dannose e non eccedere nella presenza sui social.
Sul piano professionale – e non solo – i social network grazie alla loro viralità sono quindi uno strumento potente di diffusione, di conoscenza, una grande piazza in cui esporre la propria mercanzia. A patto che ci sia della mercanzia da vendere e che questa soddisfi la richiesta.
In Italia, alcuni settori tradizionali sono in calo ma cresce la domanda di competenze informatiche, linguistiche, soprattutto tecniche e tecnologiche. Peccato che il sistema formativo non sia in grado di rispondere alle nuove esigenze.

Italiani poco competitivi
Da una recente indagine condotta dal Censis sulle imprese guidate dai Cavalieri del lavoro emerge che i giovani italiani, rispetto a quelli stranieri, hanno una preparazione tecnica non sempre all’altezza delle aspettative del mercato: soltanto il 12,2% degli imprenditori ritiene i giovani italiani competitivi, mentre il 65,5% preferisce i giovani di altri Paesi.
Buone prospettive occupazionali offre, neanche a dirlo, il settore dell’economia digitale, altrimenti detto web economy, Internet economy, nuova economia. L’economia del futuro, insomma, quella delle reti infrastrutturali di nuova generazione, del commercio elettronico, dalla elaborazione intelligente di grandi masse di dati, dello sviluppo degli strumenti digitali, dei servizi innovativi di comunicazione… C’è bisogno di giovani “artigiani digitali” che abbiano e-skill qualificate per far nascere ed evolvere start-up. In Italia, come rileva l’Ocse, siamo un po’ indietro, e a confermarlo è il fatto che il numero di laureati in discipline collegate all’ICT (Tecnologie dell’informazione e della comunicazione) è rimasto più o meno stabile, mentre altrove cresce sempre più.

Ma ci rifaremo, le teste le abbiamo. <

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