Anche la Bibbia è verde

PERSONE di Irene Famà Linea diretta con lo scrittore Roberto Cavallo Anche la Bibbia è verde Nelle pagine dell’Antico Testamen...


PERSONE
di Irene Famà

Linea diretta con lo scrittore Roberto Cavallo
Anche la Bibbia è verde
Nelle pagine dell’Antico Testamento ci sono già tutte le indicazioni per prendersi cura della nostra casa comune. Come ci racconta l’autore nel suo libro.

Salvare il pianeta? Un’impresa difficile. I cambiamenti climatici, l’inquinamento, le montagne di rifiuti, la cultura dello scarto, la perdita della biodiversità, lo sfruttamento del suolo sono solo alcuni dei problemi da risolvere. Come trovare una soluzione?
Per Roberto Cavallo, ex assessore all’ambiente del comune di Alba (Piemonte), fondatore di “Erica”, azienda leader nella consulenza tecnica e comunicazione ambientale per le amministrazioni pubbliche, scrittore, divulgatore scientifico e imprenditore, la risposta è nell’Antico Testamento. La Bibbia dell’ecologia è il suo nuovo libro, pubblicato da Elledici: 328 pagine con consigli pratici per prendersi cura, ogni giorno, della Terra.

L’intervista

La Bibbia ha la ricetta per salvare il pianeta?
Proprio così. E non è una questione di fede. Mi rendo conto che la mia può sembrare un’affermazione un po’ “eretica”. Ma, se proviamo a rileggere l’Antico Testamento come se fosse un libro di storia, ci accorgiamo che lancia un messaggio di equilibrio tra l’uomo e la natura, tra l’uomo e tutto ciò che ha intorno.
Un messaggio che emerge sin dai primi versetti: “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gn 1,1). Oppure: “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gn 2,15). E ancora: “Sono un popolo insensato e in essi non c’è intelligenza: se fossero saggi, capirebbero, rifletterebbero sulla loro fine” (Dt 32,28-29).
Con uno sguardo all’ambiente, poi, si possono rileggere i versetti sulla distruzione di Sodoma e Gomorra oppure quelli dedicati ad Abramo. In sintesi: Dio ci ha donato una casa speciale e tutte le indicazioni per viverci al meglio sono nella sua Parola.

Proviamo a fare esempi concreti?
Nel libro di Giobbe ci sono versetti particolarmente significativi: “Forano pozzi lungi dall’abitato coloro che perdono l’uso dei piedi: pendono sospesi lontano dalla gente e vacillano. Una terra, da cui si trae pane, di sotto è sconvolta come dal fuoco” (Gb 28, 1 - 6).
In sintesi: gli uomini cercano l’oro e l’argento sino alle più lontane profondità della terra, scavano gallerie e non si curano di ciò che hanno intorno. Parole che ci fanno pensare alla speculazione edilizia, alla questione dell’accesso alle risorse, al petrolio. È già scritto lì, è già tutto detto.

La prima parte del libro è autobiografica. Quando ha scoperto l’interesse per l’ambiente?
I miei nonni erano contadini, mio padre insegnante di scienze naturali alla scuola enologica di Alba. È un interesse di famiglia. Io, sin da piccolo, andavo per fossili e piante. Poi ho frequentato la scuola enologica e ho studiato per diventare agronomo.
Intorno ai 23 anni mi sono trovato diviso tra due mondi: quello ambientalista e quello cattolico. I primi accusavano i secondi di pensare solo agli uomini e non alla natura, i secondi accusavano i primi di badare solo alla natura e non accorgersi che l’uomo ne è parte integrante. Per me, ambientalista e cattolico, era un conflitto interiore.
Poi, per caso, ho aperto la Bibbia e ho capito. Il mio libro nasce lì, più di venticinque anni fa. Ricordo un versetto che mi aveva colpito, nel libro del Qoèlet. “C’è un tempo per demolire e un tempo per costruire” (Qo 3, 3): ora noi dobbiamo costruire.

Cos’è cambiato da quegli anni?
Ora c’è sicuramente più consapevolezza e più informazione. All’epoca, di certe cose non si parlava moltissimo, se si pensa che i “potenti della Terra” si sono trovati per la prima volta a discutere di ambiente nel 1992 a Rio de Janeiro, in Brasile. Però, oggi come allora, i “potenti” continuano a rispondere a interessi economici, a non capire che non pensare alla tutela del pianeta va a loro discapito.
Da qualche parte ho letto un’affermazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump che suonava più o meno così: «A me dei cambiamenti climatici non importa nulla». Molti potenti la pensano come lui, perché rispondono alle grande lobby del carbone, del petrolio, del gas che hanno finanziato la loro campagna elettorale. E non si accorgono che, ad esempio, anche le energie rinnovabili possono essere fonti di guadagno.

Eppure all’ambiente, nel 2015, papa Francesco ha anche dedicato un’intera enciclica. Un importante passo in avanti?
Un grande cambiamento direi. Il messaggio della Laudato si’ è chiaro: se non siamo in grado di portare l’ambiente al centro del nostro interesse, rischiamo di soccombere. Il papa parla di un pianeta maltrattato e saccheggiato, dove le diseguaglianze sono sempre più evidenti, e invita l’intera comunità alla ricerca di uno sviluppo sostenibile.
L’ambiente, infatti, è una scommessa anche ecumenica: al di là della fede e del credo di ciascuno, dei soldi e degli interessi finanziari, delle tradizioni e delle culture, abitiamo tutti nella stessa casa comune che è la Terra.

È questo che spiega ai suoi figli?
Io ho provato ad educarli all’attenzione per l’ambiente, ma ora sono loro che spiegano a me. Non so quanto consapevolmente, ma i giovani sono attenti a questi temi. Senza saperlo, si impegnano per la sostenibilità ambientale. I miei ragazzi, un maschio e una femmina di 20 e 15 anni, ad esempio, fanno la raccolta differenziata senza pensarci. Come i loro amici.

Dopo i problemi, quindi, con i giovani nasce la speranza?
La speranza arriva prima. Come scrivo nell’ultimo capitolo, arriva da ciascuno di noi. La ricetta che mi sento di dare è proprio di partire da noi stessi: noi, come singoli, possiamo essere parte del cambiamento.
Spesso, quando le cose non vanno, si cerca un colpevole e si punta il dito contro l’industria, il governo, il comune. Invece bisogna partire da noi, dai piccoli gesti quotidiani: dal buttare la spazzatura negli appositi contenitori a chiudere l’acqua quando non la si usa, dal salire in sella alla bicicletta al prendere il pullman. Non per nulla, il libro si conclude con alcuni decaloghi.

Un esempio?
Per salvaguardare la biodiversità basterebbe visitare i parchi della propria regione, imparare a riconoscere le piante intorno a noi, piantare fiori sui terrazzi. Un po’ come si faceva alle elementari, quando le maestre ci portavano a raccogliere le foglie. Quello che voglio dire è che ognuno di noi è parte di una comunità che deve conoscere, frequentare, partecipare. Criticare e basta è troppo facile.

Nel libro chiede di fare alcune proposte al sindaco. Lei, al suo sindaco, quello di Alba, quale farebbe?
Gli chiederei un piano regolatore dei servizi. Gli chiederei di studiare i tempi della nostra città, le abitudini dei cittadini e pensare a mezzi pubblici e a piste ciclabili fatte bene. Magari di poter preparare insieme un progetto. Anche questo sarebbe un passo per l’ambiente.

A La Bibbia dell’ecologia ha lavorato venticinque anni. Ha già un altro libro in programma?
Per adesso mi godo questo. Di libri iniziati ne ho molti, ma per ora rimangono nel cassetto. Mi piace pensare di avere “la funzione di un caffè”, di risvegliare temi che stavano dormendo dentro di noi.
Quando vado alle presentazioni de La Bibbia dell’ecologia parlo per un quarto d’ora, venti minuti al massimo, poi inizia il dibattito. Preferisco lasciare ampio spazio alle domande, alle proposte, alle osservazioni di chi partecipa all’incontro. E così torno a casa carico di energia, ricco di informazioni, soddisfatto per il confronto. E spero che sia lo stesso anche per chi viene a sentirmi. Un modo, anche questo, per pensare al pianeta e capire come salvarlo.

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