Donne: tanto, ma non abbastanza

HASHTAG di Elena Giordano Quote sempre più rosa Tanto, ma non abbastanza A che punto siamo, quanto a parità di gener...


HASHTAG
di Elena Giordano


Quote sempre più rosa





Tanto, ma non abbastanza
A che punto siamo, quanto a parità di genere? E in merito agli stipendi e ai ruoli di responsabilità, anche nella Chiesa? Guardiamoci negli occhi: c’è ancora molto da fare.

Nel 1946, “un secolo fa”, ma solo per modo di dire (un tempo davvero troppo vicino!), le donne per la prima volta prendevano la scheda elettorale ed esprimevano il loro diritto di voto. Ancora per alcuni decenni sarebbero state trattate come una proprietà del marito o dell’uomo in generale, con minori diritti e maggiori responsabilità (lui poteva tradire la moglie, lei non fare viceversa).
La donna non aveva autonomia economica, dipendeva dal marito che decideva se lei potesse o meno acquistare questo o quello, occuparsi di questo o quello. In famiglie “illuminate” qualcuna, specie se residente in città, poteva timidamente affacciarsi al mondo del lavoro. Qualcuna, di famiglia “illuminatissima”, poteva proseguire gli studi, magari laurearsi.
Quello che stiamo raccontando non è il Medio Evo (secolo peraltro per niente buio), bensì la sorte e la storia di tantissime nostre bisnonne, che con tenacia hanno resistito, combattuto (nella Seconda Guerra Mondiale sono anche state partigiane, fucile in mano) e cercato di conquistarsi sempre più diritti, quelli di cui oggi beneficiano tutte le ragazze che vivono in Italia e in Europa. Il percorso è stato lungo e faticoso, ma non è ancora arrivato il momento di sedersi e bere una tisana con le amiche.
Marzo è il mese della donna: ci piace l’idea di fermarsi un secondo ed esaltare la donna in quanto tale, anche se ogni anno tutti si chiedono se sia ancora necessaria una festa che ribadisce la parità tra i generi e l’importanza del ruolo femminile nella società. La risposta è, anche per questo 2019, sì.
È necessario ricordare l’ovvio perché, come si può leggere in queste pagine, troppo spesso le donne sono sottoposte a trattamenti velatamente discriminatori. Ovvio, nessuno dirà mai apertamente: «Ti pago meno del tuo collega», oppure «A te e solo a te spettano il lavoro in ufficio, la cura dei genitori anziani, l’accudimento dei figli piccoli», oppure ancora: «Sei incinta? È un problema tuo, io non posso aiutarti in alcun modo».

Le donne a cui guardare
Nell’ultimo libro di Aldo Cazzullo, Giuro che non avrò più fame (Mondadori), il giornalista e scrittore descrive tantissime figure femminili, note e meno note, che a partire dal 1948 iniziarono, insieme agli uomini, a ricostruire un Paese distrutto dalla guerra.È sconvolgente leggere il peso pagato dalle donne, in silenzio, in un’Italia piena di macerie, senza cibo, senza niente, in cui tutto era da ripensare. Così come è commovente avvicinarsi alle storie di tenaci ragazze e mamme che fecero i salti mortali per portare a casa un pezzo di pane, per dare ai figli una vita migliore (che poi è l’obiettivo delle madri di tutto il pianeta, di tutti i secoli).Certamente anche la tua famiglia è costellata di figure femminili che, senza fare rumore, hanno “accompagnato” quelle maschili. Prova a ricostruire il loro vissuto, scoprirai fatti (privazioni, sconfitte, successi) che oggi considereremmo “impossibili da sopportare”.


Discriminare per rimanere potenti
Nel giro di pochi decenni la società è profondamente cambiata. Qualcuno però è rimasto un po’ indietro. Quell’idea del “possesso” (cioè la donna è senza diritti, pertanto di “uso” esclusivo del marito-compagno, che può disporne come desidera, sia a livello di scelte, che di gestione del corpo) è ancora presente ed emerge con forza ogni volta che si sente parlare di violenza domestica, femminicidio, stalking.
C’è sempre qualcuno che pretende, in modo univoco, di disporre dell’altra persona, senza che lei sia d’accordo o esprima un parere in merito. E lo strumento “violenza” è il primo che viene fuori. Che sia un retaggio del tempo degli uomini primitivi, o una mancanza di umanità, o semplicemente l’attitudine a commettere un reato, la risultante è sempre la stessa: donna inerme, maschio vincitore.
Anche rispetto a questa dinamica occorre “andare oltre”. E la legge deve seguire, ascoltare, tutelare, accompagnare le donne in difficoltà nei loro percorsi di sopravvivenza quotidiana. Se non lo fa, qualcuno lo deve ricordare con forza. Come deve ricordare a tutti che non è normale considerare la donna inferiore. Siamo uguali (anche diversi e complementari dal punto di vista della sensibilità e degli skill), punto e basta.

Il valore “al femminile”
Non possiamo scrollarci di dosso – parliamo per le donne e per gli uomini – ciò che siamo stati, come siamo arrivati ad oggi e come siamo adesso. La società è stata da sempre improntata al maschile. E va bene: ora tocca evolvere. E il compito spetta proprio alle donne.
Il modello di leadership maschile è l’unico che, sino ad adesso, è stato adottato e utilizzato (non ne esistevano altri): a questo è oggi possibile affiancare quello femminile, che parla tutto un altro linguaggio. Oltre alle quote rosa, oltre al desiderio di arrivare, specie sul lavoro, “al pari degli uomini”, le donne posso sperimentare e proporre il proprio modello femminile di “guida”.
Diverse da un punto di vista sia fisiologico che caratteriale, le donne possono finalmente condividere con la società le loro migliori capacità innate, come quella di accudimento, l’uso del pensiero laterale, la capacità di essere multitasking, inclusive, di valorizzare tutti i colleghi e collaboratori, in una visione meno competitiva rispetto all’uomo. Là dove, in azienda, la donna viene messa in condizione di guidare gli altri… i risultati sono eccellenti. Interessante, vero?
Perché questo percorso sia sempre più virtuoso occorrono due condizioni: che le donne siano lasciate libere di percorrerlo; e che ci credano, ossia che siano loro stesse artefici del cambiamento.

Pari lavoro, compenso diverso: diamo i numeri
  • Per quanto riguarda i salari, in Italia la differenza tra uomo e donna è del 5,3% (in Europa è del 16,2%)
  • Guardando invece i redditi annui medi, la differenza è pari al 43,7% (media europea del 39,6%). Il motivo? Le donne ai vertici delle aziende (ossia che guadagnano di più) sono molto poche; inoltre le donne hanno spesso contratti non continuativi (cioè magari lavorano per meno ore per questioni legate alla famiglia)
  • Nel settore privato, le donne manager sono il 25% del totale, una su quattro
(fonti: Rapporto sul gender gap salariale della Commissione Europea e Osservatorio JobPricing)


Tocca a te, proprio ora
Le generazioni passate hanno fatto ciò che hanno potuto, per far crescere culturalmente il Paese. Dobbiamo dire tanti grazie alle donne che ci hanno preceduto, ma non possiamo vivere dietro alla loro ombra. Tocca alle ragazze e ai ragazzi di oggi disegnare qualcosa di diverso, una società nella quale l’integrazione sia piena.
Tocca a noi “spingere” perché le famiglie siano tutelate, le madri in attesa non debbano essere retrocesse rispetto al ruolo che ricoprono, i ruoli apicali possano essere appannaggio anche di brave e competenti manager. Tocca a noi ragionare in modo aperto e “operativo” (ossia abbinando i bei discorsi alle azioni e alle decisioni concrete) e chiedere e pretendere dalla classe politica risposte puntuali.
E che anche la Chiesa si faccia portatrice di queste istanze e inizi ad “aprirsi”, lasciando che il “femminile” possa portare il suo contributo nelle comunità parrocchiali (e anche nei consigli pastorali, per esempio). Le risposte non arrivano? E allora si cambi (coloro che sono deputati ad aiutarci in questo cammino). Non tra 10 anni. Oggi.
Scorrendo la biografia di Margherita Hack, si scopre che anche lei, brillantissima astrofisica morta nel 2013, venne discriminata nel mondo universitario, proprio perché donna. Venne “mobbizzata” (si direbbe oggi), ma certamente non si arrese. Ecco, dobbiamo tirare fuori – noi femminucce – la Margherita Hack che è in noi.




Giù quelle mani
  • ·       Nei primi nove mesi del 2018 in Italia ci sono stati 32 femminicidi (3 in meno dell’anno precedente).
  • ·       I casi di stalking, nello stesso lasso di tempo, sono stati 8.414 (erano 9.905 nello stesso periodo del 2017).
  • ·       La Sicilia è la regione in cui le donne denunciano di più, seguono Campania ed Emilia Romagna.
  • ·       I casi di violenza sessuale sono stati 2.977, a fronte di 3.189 nello stesso periodo del 2017 (-6,65%)
 I dati appena riportati indicano due cose: vi è una diminuzione dei reati (ottimo) e le donne stanno iniziando a denunciare di più (questa è la notizia che infonde speranza).
(fonte: Polizia di Stato)


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