Se l'amore avesse ragione - 3a

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Se l'amore avesse ragione - 3a


Vorrei leggervi la chiusura di un libro di Massimo Recalcati, che forse qualcuno di voi conosce, psicoanalista lachaniano di Milano, nel libro Il Complesso di Telemaco, che dice così: 
«Il secondo episodio riguarda invece mio padre. Lo ricordo camminare davanti a me con il passo di un gigante, le domeniche mattina quando andavamo insieme a visitare i bancali della serra dove giacevano doloranti le sue piante malate. Il suo italiano incerto e dialettale lasciava allora misteriosamente il posto al latino. In quella lingua antica e sconosciuta pronunciava il nome delle malattie e quello delle sue piante. Leggeva sulle foglie morsicate da insetti invisibili, dai nomi più misteriosi, o invase da muffe e da maculature spettrali, il loro dolore, per poi preparare le pozioni magiche per il trattamento che le avrebbe guarite. Aveva fatto tutto questo dal nulla, aveva accettato la scarna eredità materiale del padre, che aveva una certa passione per il lavoro della terra, ma preferiva gozzovigliare tra pezzi umidi di antiquariato, per farla germinare in modo imprevedibile. Aveva inventato una professione come quella di floricultore, senza che vi fosse stata alcuna cultura familiare. Nel mio lavoro clinico ho sempre avuto una passione per la dimensione della diagnosi differenziale, per individuare la struttura soggettiva particolare che orienta il discorso del soggetto. Da dove veniva questa passione? Il ricordo infantile di mio padre dedicato al dolore delle foglie contiene il nocciolo della mia eredità. Cosa ho ereditato? Non un regno, non una discendenza illustre, non geni o beni. Ma una testimonianza silenziosa del desiderio. Osservando mio padre chino sulle sue piante, sapevo che quella era la sua vita, quello il suo lavoro, quella la sua soddisfazione, quello il suo mondo. Togliere il dolore alle piante, restituire loro la vita, farle crescere forti, salvarle dalle muffe, dal male, dalle colonie di insetti invisibili, dedicarsi a leggere a curare le foglie. E cosa sono diventato io? Non sono forse uno che legge il dolore delle foglie? Che legge gli uomini come se fossero foglie? Non sono forse diventato questo? Uno che prova a leggere e a curare il dolore scritto sulle foglie dell’humus umano? L’eredità è sempre eredità di una passione, che subisce uno sviamento, una torsione, una deviazione. Leggere il dolore sulle foglie. Mi sono accorto di non aver continuato a far altro, sebbene lo abbia fatto in un altro modo.
Ereditare è questo, scoprire di essere diventato quello che ero già sempre stato, fare proprio quello che era stato proprio da sempre».

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